Con un linguaggio semplice agli alunni spiego spesso quanto
qui scrivo in maniera più elaborata: per l’uomo animato dalla virtù di
religione esistono due ambiti, il sacro e il profano. Il sacro è manifestazione
del santo, pienezza di vita ed esistenza, mentre il profano è normalità amorfa.
Santo è il tempo, santi sono alcuni luoghi. E’ un principio base
dell’antropologia e dell’etnografia religiose: è la consapevolezza che esiste
un qualcosa di diverso, uno strumento per andare verso chi è Totalmente Altro.
Costui è Dio: il qadosh, il santo. Santo: santo significa il
“diverso”, il “separato”. Santo indica distanza: “togliti i sandali, perché il
luogo che tu calpesti è luogo santo”: luogo diverso, luogo teoforico, portatore
di Dio.
Se viene meno la consapevolezza della alterità di Dio viene
meno tutto: Dio non è più il Padre creatore, il venturo che sintetizzerà nel
giudizio misericordioso e santo la storia dell’uomo. Se viene meno la
consapevolezza della diversità di Dio, egli sarà umanizzato e cadrà il bisogno
dell’uomo nei confronti di Dio.
Nel cristianesimo Gesù, pur libero rispetto alle tante
prescrizioni farisaiche, è stato tuttavia integerrimo nei confronti della
diversità del tempio. Armatosi di funicelle mandò all’aria i banchi dei cambi
delle monete, e le sue parole echeggiano ancora forti: “per mano vostra la casa
di mio Padre è divenuta caverna di ladri”. Non ho nessun commento da fare costatando
a cosa sono state ridotte diverse chiese napoletane, e non aggiungo nemmeno
tutte le foto che ho viste, perché davvero sono confuso .
Solo accorata risento la parola, o meglio preghiera del
Signore: “Quando il Figlio dell’uomo tornerà troverà ancora fede sulla
terra?”.
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