Nella
religione tutto è simbolo: oggetti semplici e quotidiani come il vino, l’acqua,
il pane o le pietre vengono elevati ad altissimi significati nel tentativo di
descrivere l’indicibile mistero di Dio e della sua manifestazione agli uomini.
Tutto
è simbolo: l’oggetto sensibile diviene il trampolino per esprimere un concetto
diverso che da umano diviene ormai teologico.
Simbolo
è anche la chiesa di pietra, da sempre chiamata a evocare la dimora celeste
dell’Altissimo lì, nella ultima e definitiva Gerusalemme.
Il
simbolo è però anche ambiguo: perché sia capito va decodificato, altrimenti non
è percepibile. Tale ambiguità ne ha segnato anche la fine odierna: pochi di noi
ne comprendono la profondità e acutezza. E i motivi sono chiari: viviamo
nell’epoca dell’immediatezza e in un tempo in cui – fatte le dovute eccezioni –
il clero è ampiamente ignorante e digiuno di vivacità intellettuale.
In
queste righe basti dire che anche un oggetto così normale come la porta ha
ricevuto un significato simbolico. A darglielo è stato lo stesso Cristo quando
ha paragonato la vita cristiana a un passaggio stretto, diverso dal passaggio
ampio e spazioso della perdizione.
Parole
queste che sono servite agli scrittori antichi e medievali, non ultimi Paolino
di Nola e Durando di Mende, a sviluppare una complessa lettura simbolica
dell’edificio sacro che ovviamente qui tralascio di raccontare.
Sono
sicuro che don Luigi Vitale approfondirà questo tema nella conferenza di
domani.
Della
porta si sono però occupate anche l’antropologia religiosa e la stessa
filosofia del linguaggio. La porta è infatti il tramite tra due contesti
completamente diversi. Per essa si passa dal profano ( “ciò che è fuori del
tempio” ) al sacro ( ciò che è “speciale” e perciò “diverso” ).
Insomma:
la porta non è un oggetto “semplice”. Perciò il restauro che sarà presentato
domani è un momento degno di attenzione.
Perché
tra l’altro propone un interrogativo: cosa la porta celava prima dell’incendio
del 1799?
Immaginate
un giorno antico. Non uno qualsiasi, ma uno preciso: il venerdì 17 luglio del
1615. Siamo nella piazza di Lauro. C’è movimento come sempre. Pietro Sperandeo
cammina nervoso lungo la strada. Da lontano vede giungere Geronimo Cappellano.
In due l’attesa è meno tediosa. E anche altri arrivano: Giovanni Caropreso,
Marcello Santaniello... Il loro sguardo è verso la Torre di via Terra. Si
avvertono dei rumori. Tutto sembra pronto: la loro attesa sta finendo, e anche
questa storia può avere inizio...
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