1/ Novant’anni
fa: L’Italia al Polo Nord
Avvicinarsi a Nobile oggi
Recentemente
Antonio Ventre – responsabile del Museo Nobile di Lauro – dichiarava al
giornalista Castaldo che Nobile è “una figura tutta da riscoprire” (cfr.
Vincenzo Castaldo, Nuova vita al museo
Nobile, in Il Mattino, 25
febbraio 2018, sezione Cronaca irpina).
Riscoprire
Nobile non mi sembra un affare semplice e da poco, tanto è vasto lo spessore
dell’uomo.
La
stessa domanda “chi era Nobile?” non trova una risposta immediata e univoca.
La
lapide della Villa Lancellotti di Lauro che ricorda il 50° anniversario della
spedizione polare del 1928 tramanda a ogni laurinense il figlio illustre che fu
“inventore, esploratore, nauta”.
Già
tre elementi tra loro molto ampi ma almeno consequenziali: un artefice che
esplora navigando.
Queste
tre qualifiche si fermano però solo all’esterno della persona. Ben poco
lasciano presagire della sua interiorità, del suo spirito, degli inquieti
pensieri che hanno reso e rendono affascinante Umberto Nobile.
E
allora: chi era Nobile?
Uno
spaventoso ambizioso capace di farsi forte di una fugace montatura di un’intera
Nazione, come Italo Balbo dichiarerà dinanzi alla Commissione d’Inchiesta il 13
novembre del ’28?
O
era l’eroe che appassionò il mondo intero nel biennio 1926-28, acclamato dalle
folle in delirio?
E
non era anche il cattolico intrepido a cui Pio XI affidò il compito di
consacrare a Cristo Re il vertice della terra?
E
perché a questo punto non aggiungere anche che era un uomo capace di cavalcare
le idee politiche del suo tempo? Ma si: ancora in tanti lo sussurrano: fascista
con i fascisti, democratico con i democristiani, comunista con Togliatti…
Fermiamo
la rassegna? Niente affatto.
Si
può tralasciare il Nobile costituente, colui che con una genialità unica ci
consegnò gli articoli 9 e 139 della Costituzione? Tacere di lui, che in una
sera dicembrina del ’47 lì a Montecitorio, ultimo di tutti i Costituenti, prese
la parola, nello sconquasso dell’aula, mettendo il sigillo alla nostra Carta
Costituzionale con quell’articolo fatidico e definitivo?
Non
basta dire solo che è stato l’uomo ingiustamente condannato, poi assolto,
biasimato e innalzato, quasi da sembrare il Napoleone manzoniano, che fino all’estremo
ha gridato per dire la verità dei fatti?
E
se dicessimo semplicemente che è stato un eroe d’altri tempi, quasi
leggendario?
Dimenticheremmo
però l’uomo di cattedra, il professore ammirato dai suoi studenti, lo scrittore
colto, chiaro, avvincente.
Ecco:
ogni volta che mi avvicino al Generale ho le vertigini del pensiero. Non è
semplice approfondire Nobile!
Perché
Umberto Nobile è stato quanto ha realizzato e al contempo non è solo un
personaggio da epopea.
Nobile
sfugge a ogni definizione: è troppo vasto per essere compreso in una semplice
voce enciclopedica (leggete la recente voce di Surdich sul Dizionario
Biografico degli Italiani e forse la penserete come me) o troppo ampio per
essere ingabbiato come souvenir di uno sciocco e puerile gioco campanilistico.
Uomo
dagli alti ideali e quanto mai concreto, preveggente dei rischi, calcolatore di
ogni minimo dettaglio nelle esplorazioni, eppure animo altamente poetico e
romantico, vegliardo dei contrasti opposti, egli paga il fio di chi è davvero
grande. Perché è grandioso Nobile e sarà destinato a essere incompreso sempre.
Quest’uomo
è un fulmine di guerra, capace di appassionare e contrastare appunto, e perché?
Perché
è colui che ha varcato le soglie dell’ignoto.
Umberto
Nobile è l’uomo che ha dato fendenti all’inviolato mondo dei ghiacci eterni. E
da questa terra dell’ignoto è riuscito a ritornare – cosa inaudita – facendo fremere,
impallidire e appassionare.
Ma
dalla terra dell’ignoto è tornato cambiato, o forse non è mai tornato.
Nobile
non è mai tornato perché lì ha assaporato la libertà dello spirito: lì egli è
stato re di se stesso, al di sopra di ogni legge di natura. Era ormai un uomo
trasfigurato dalle altezze del mondo inviolato; destinato a rimanere inquieto,
non è più stato capace di resistere al fascino tempestoso del figlio di Astreo.
Novello Petrarca altro non sapeva dire: “Rotta è l’alta colonna e ‘l verde
lauro che facean ombra al mio stanco pensiero… perduto ho quel che ritrovar non
spero, dal boreo a l’austro, o dal mar indo al mauro”.
Ecco
chi era Nobile: uomo venuto dall’ignoto, bruciato dai venti della passione e
della libertà. E perciò eccezionale. E
perciò difficile riscoprirlo.
E
allora, perché avvicinarsi ancora a lui?
In
effetti, in un’epoca fugace come la nostra, logorata dalla schiavitù dell’android,
è inutile parlare di Nobile. E’ troppo grandioso per un tempo piccolo e
mediocre come il nostro, dove a farla da padrone sono i dilettanti ambiziosi.
Eppure
mi riavvicino a lui.
Per
un motivo personale anzitutto, comune a me e a tutti i quarantenni di Lauro.
Eravamo
ragazzini allora, lì alla “Benedetto Croce” e… crescevamo col generale!
Ogni
mattina lo scorgevamo: nelle sue foto, nei suoi appunti, nelle tute, nelle
eliche, nei suoi disegni. In quei lontani anni ’80 tutti i cimeli che Nobile
aveva regalati a Lauro erano stati depositati negli atri e nei corridoi della Scuola
Media in attesa che venissero allestite adeguatamente le sale dell’attuale
Museo Nobile.
Oggetti
che incuriosivano, sempre pronti a essere guardati, studiati, ammirati. E con la
familiarità crescevano la curiosità e il fascino.
Penso
che un uomo intelligente come il sindaco Ottavio Colucci non avesse scelto a caso
quella collocazione provvisoria. Uno come lui aveva previsto che attraverso
quell’allestimento prima o poi sarebbe nato nei futuri cittadini di Lauro l’entusiasmo
e la fierezza di essere concittadini del Generale. Grazie, indimenticato e –
ahimè per me – poco noto Sindaco.
Se
questo è un motivo personale si affianca anche un’altra motivazione, anch’essa
laurinense.
E’
un motivo che sa di arcano: una profezia che Giuseppe Del Cappellano vaticinò
nel 1653, quando San Sebastiano venne eletto patrono della Terra di Lauro.
Cantando
al Santo martire, lo scrittore secentista nella enfasi retorica scriveva:
O patria, es
felix retinens te laeta tuentem: sollicita optatum, sors tibi diva favet:
quidque per hunc Nobilis non tradet numen ab alto spicula cui lingua?
Sei
fortunata o patria perché lieta conservi chi ti difende; cosa per intercessione
di costui non ti darà Iddio? O Nobile…
Ancora
rammento i brividi quando il Parroco don Rocco in vista della maturità classica
mi diede come esercitazione la traduzione di questi versi. Trovare il Nobilis in maiuscolo, chiaramente
riferito alla urbs laurinensis, ma…
accomunata a san Sebastiano mi diede molto da pensare. “Iddio darà a te o Lauro
qualcosa di Nobile, per intercessione di San Sebastiano”, pensavo tra me.
Sì
la profezia (se tale si può chiamare, absit
iniuria!) si compì: Nobile nasceva a Lauro all’indomani di San Sebastiano,
il 21 gennaio 1885, e sotto i suoi occhi veniva battezzato.
Ed
egli avrebbe reso famoso il nome di Lauro per sempre.
Si
può obiettare che la “profezia” non valga nulla, né che Nobile abbia qualcosa
da dire al nostro paese, perchè è un ebolitano natovi semplicemente per caso.
E
non nasciamo tutti per caso in un luogo piuttosto che in un altro?
Rinuncio
a rincorrere i massimi sistemi. Sulla base della testimonianza di coloro che lo
hanno conosciuto si può affermare che Nobile pur se nato per caso a Lauro (il
padre vi svolgeva il lavoro “nomadico” di ufficiale del Registro) più e più
volte ricorderà il paese natio, dalle arcane parole della zingara che lo scorse
neonato mentre il Palazzo Lupo bruciava (“combatterà con il fuoco e con la neve”)
fino agli ultimi anni di vita, in modo sempre più frequente.
Insomma:
è un laurinense a tutti gli effetti, e va ricordato. Semplicemente perchè è
grandioso.
Ma
quale è lo scopo di queste narrazioni?
Un
obiettivo semplicemente didattico, senza altra pretesa. Sono un professore e
quante volte mi imbatto nella meraviglia degli studenti allorchè sentono
parlare dei grandi che furono!
Ecco:
questi racconti sono pensati per i ragazzi di Lauro, per quei tanti che forse
solo superficialmente conoscono la figura del Generale.
Narrazioni:
episodiche, frammentarie, senza data fissa, come senza data fissa erano i
bollettini di novant’anni fa, quando le notizie giungevano dalla Norvegia, o
dalla Baia del Re o chissà da dove.
E
forse con questa frammentarietà parrà più avvincente ricostruire e rivivere
quei giorni formidabili.
E
così sono anche chiari i limiti di queste narrazioni.
Nulla
è unitario e tutto è frammentario, perché scritto man mano, rubando qualche ora
al sonno e facendo i conti con la stanchezza.
Ma
questo – ripeto – è a mio parere il modo più originale per riscoprire Nobile:
un po’ alla volta, senza pretese, se non quelle appassionate dell’ammirazione.
E
così spesso capiterà di cambiare rotta, come già lui fece nei giorni dell’esplorazione:
ora si visiterà un luogo, domani si conoscerà un personaggio… chissà!
L’importante
è solo darsi da fare.
“Per
non dormire” era il motto che il Generale - come già D’Annunzio – avrebbe voluto
far mettere sulla cabina del Norge. Le cose si fanno solo se si ha passione e
inquietudine.
La
stessa passione e inquietudine che hanno i tanti ammiratori e valenti esperti
di Nobile a Lauro. Davanti a loro sono un profano che ardisce con ignoranza:
avranno comprensione perciò!
So
solo che il Generale gradirebbe. Cesco Tomaselli rammentava come il nostro
Nobile facesse salire sul dirigibile chiunque ne fosse incuriosito, guidando
nelle spiegazioni, nella visita, porgendo Titina alle carezze di tutti.
Si:
per parlare di Nobile bisogna essere come lui, chiari e appassionati. E io ci
provo.
E
allora andiamo. Non so dove.
Milano?
Forse si. E in che anno? 1926 o 1928? Non lo so ancora. Se ne riparlerà
prossimamente.
©
Severino Santorelli