Il mio 23 maggio
Scinne cu me nfunn' ô
mare a truvà chello ca nun tenimm' 'a ccà
viene cu me e accummencia a capì
comm'è inutile stà a suffrì
guarda stu mare ca ce nfonn' 'e paure sta cercann' 'e ce mparà
Attendevamo tanto quel
23 maggio! Da mesi lì al Convitto si contavano i giorni. Alba dopo alba,
tramonto dopo tramonto Nola era tutta un cantiere: piazza d’Armi, la Cattedrale
e la sua insula… Cominciavano anche a giungere quelli del Vaticano. Fino ad
allora li avevamo visti in televisione. Il primo a venire fu Marini, il
cerimoniere del papa. Alto e gelido, a stento salutava i provincialotti corsi a
fargli la corte. Un vero manager del sacro: “tu a destra, lui a sinistra…
inchino e riverenza, tiri doppi e semplici…”. Allora ero già cattivello: mi
venne in mente Wilde… cosa sono i riti cristiani se non una tragedia greca
rimessa in scena?
Intanto ogni mattinata
inesorabilmente ci richiamava ai nostri doveri di alunni. In quel maggio di
fine ginnasio non potevamo eludere ancora la consecutio temporum, né potevamo fuggire le versioni di Aristotele
e Platone. C’eravamo pure svezzati, e don Andolfi se n’era accorto. Ormai non
cercavamo più come manna nel deserto le dritte del Castiglioni o del Rocci.
Avevamo adocchiato lo scaffale dei classici giù in biblioteca. Era nascosto con
cura, con quella meticolosità e quel sospetto tutto pretesco mascherato dalle
virtù della vigilanza e dell’ascesi… Calvino aveva ben da imparare lì a Nola! E
ogni pomeriggio chiedevo alla bibliotecaria tanti testi tra cui i classici
tradotti. Non ci faceva caso perché era già un anno che consultavo libri in
lingua straniera. E il gioco era fatto.
Ah comme se fà a dà turmiento a ll'anema ca vo vula'
si tu nun scinne 'nfunno nun 'o puo' sape'
no comme se fa' a te piglià surtanto o mmale ca ce sta
e po' lassà stu core sulo mmiez' â via
Era ammaliante quel maggio del ’92… Un caldo ormai estivo, e la collina
di sant’Angelo era un tripudio di odori e di verde. E il pomeriggio era più
allettante se passato su alla rocca di Castelcicala anziché stando chini sui
classici… Behbeh (così chiamavamo il nostro docente) avrebbe capito… E allora si
saliva spediti, colla fantasia di ginnasiali in cerca della casa di Giordano
Bruno… Sarà nato qui? O lì?... Le ricerche d’un tratto finivano lì al torrione…
Che panorama! Il vallo a sinistra, il Vesuvio di fronte, Avella alle spalle e
alla destra Caserta… Oltre sapevamo che c’era l’immenso mondo da scoprire. Alle
cinque puntuale suonava la campana dei Camaldolesi. Forse la muoveva il
converso polacco…chissà… I pochi reduci di Montecorona ci davano il segno:
bisognava tornare giù, altrimenti quel vicerettore… ah! Varcata la porta
carraia i corridoi solenni non aiutavano a rientrare nella compostezza del
luogo. La filodiffusione, geniale trovata del nuovo preside, trasmetteva senza
posa il duetto di Mia Martini e Roberto Murolo… Doveva piacergli un sacco, se
dalle 8 del mattino alle 7 di sera era un continuo echeggiare…
Eneide, canto X: “Aprissi la magion celeste intanto, e del cielo il gran
padre in cima ascese del suo cerchio stellato”. Mi piaceva troppo la traduzione
di Annibal Caro ed era il mio sollievo durante quei temi virgiliani che
implacabili ci attendevano il giovedì… Ormai l’anno stava finendo. Col pio Enea
eravamo giunti a quei boschi incantati di Fauni e Ninfe, nemora indigenae Fauni
Nymphaeque tenebant… avevamo visto la morte di Eurialo e Niso e pensosi ci
eravamo attardati, mentre il nostro docente piangeva leggendo, come già aveva
pianto quando aveva declamato le pagine manzoniane di Cecilia. Imparammo allora
che le lacrime contraddistinguono i classici… Aveva ragione Peyrefitte: “il
faut passer entre les mains des révérends pères”.
Saglie cu 'mme e accummience a cantà nziem' ê nnote ca ll'aria dà
senza guardà tu cuntinua a vulà mentr' 'o viento ce porta là
addo ce stann' 'e pparole cchiù
belle ca te piglieno pe mparà
Finalmente… 23 maggio! Alle sei i primi autobus da Torre Annunziata.
Gente di mare, abituata alle veglie… Avevano parcheggiato giù da noi. E la loro
voce allegra era più sonora di un concerto di campane! “Ecclesia supplet…
Niente preghiera stamattina…” Il pragmatismo del Magnifico Padre Terrore non
s’era smentito nemmeno allora… Cis, Cimitile e finalmente Nola… Eccolo… Il Papa
era tra noi! Fazzoletti in aria, cori che ricordavano un soldato innamorato che
diceva al suo amore “Te voglio bene assai”…
Non ricordo le sue parole. Ma quelle di Tramma sì: “Pietro, che cosa
dobbiamo fare?”… Tramma! Lo chiamavano “gemma del clero napoletano”. Cresciuto
a Forcella, tra i vicoli caotici, e dalla scuola di Mallardo si era volto poi
ai sofismi del brocardo… Un uomo apparentemente freddo con insistenza accorata chiedeva
due volte a Pietro cosa si doveva fare…
Già: cosa fare in quel maggio del ’92? La classe politica cadeva a pezzi
sotto i colpi di una magistratura che di lì a poco si sarebbe fermata,
favorendo o causando o soppiantando un cambiamento epocale. Non passava giorno
che non si leggeva di un parlamentare inquisito. Mostri sacri fino al giorno
prima che d’un tratto parevano cianfrusaglie da bancarella. E un partito che
evocava ancora un passato. Ma non un futuro.
Ma la politica sembrava lontana. Più vivido era ancora il sangue sulle
strade… Appena sei mesi prima la strage a Scisciano. E maggio non si era aperto
bene. Cinque morti ad Acerra, tra cui una donna incinta e un quindicenne.
“Pietro, che cosa dobbiamo fare?” tornava a dire Tramma.
Ah comme se fà a dà turmiente a ll'anema ca vo vulà
si tu nun scinne 'nfunno nun 'o può sapè no…
Come tutti
i giorni a lungo attesi anche quel 23 maggio passava veloce. Era quasi il
tramonto quando arrivai a casa: vi mancavo da quindici giorni… Come tutti
appresi la morte di Falcone dal televisore. Chi fosse non lo sapevo. Era già da
qualche tempo a Roma, e allora le notizie non si inseguivano colla rapidità
odierna. Ma il clamore e la commozione erano in molti, anche se io non capivo tanto.
Fu solo seguendo la diretta dei funerali che cominciai a scorgere la gravità
del momento. “Sinagoga di Satana”… Uno come Pappalardo non poteva non misurare
le parole né contenerle. Sinagoga di Satana: solo la mafia? E in quella sera
stessa dei funerali in tutta fretta era eletto Scalfaro. Con un discorso di lì
a poco che avrebbe potuto gareggiare con un’omelia. Da far stropicciare il
naso. Perché Cesare deve sempre avere la sua parte. Altrimenti si sbilancia
tutto. E non è un bene. Meglio Pappalardo, sine dubio.
D’un tratto
ci rendemmo conto che qualcosa era cambiato. Andolfi in quelle mattine di fine
maggio era pensieroso. Vecchio e caro e venerato maestro che ci aveva imparato
il latino spesso parlando solo in latino! Di lì a poco ci avrebbe lasciato, per
ricominciare un nuovo ginnasio. “Per domani canto XI dell’Eneide. Lettura e
commento, e anche parafrasi”.
Non ci fu nessun commento dell’Eneide quell’indomani. La ford bianca malandata di monsignor Andolfi
non si vide. Era rimasto lì, nei pressi di Pompei, a pregare il rosario per
Elisabetta, l’unica e amata sorella che lo accudiva e che quella notte era
partita. Il giorno prima ci aveva detto: “Seguite le cronache di questi giorni.
Accade qualcosa di notevole”.
Compresi così un po’ meglio la risposta del papa a quella domanda
insistente di Tramma… “Pietro cosa dobbiamo fare?” “Siate testimoni” aveva risposto
con immediatezza il papa polacco. Sii un testimone: sii attento a non subire
mai gli eventi. Non essere indifferente alla vita. Non perderti. Abbi cura di
te, perché anche tu avrai un giorno qualcosa da dire.
Comme se fa a te piglià surtanto o mmale ca ce sta
e po' lassà stu core sulo mmiez' â via…
La filodiffusione dei corridoi si spense. Per non riaccendersi più. Chiudemmo i libri e tirammo alle spalle la
massiccia porta dell’aula. In mente ancora i versi di quel canto XI di
Virgilio: “Passò la notte intanto, e già dal mare
sorgea l'Aurora” .
sorgea l'Aurora” .
Avevamo quindici anni. Finivamo la V ginnasiale al Vescovile di Nola…