Memento
Ascanii. O la lotta ingenua di Bisaccia
(Ascanio
Pignatelli era il figlio di Scipione, feudatario di Lauro. Nato nel 1550,
morirà nel 1601)
De
la mia calda età l' ardente voglia,
Che
'n giovenil desio già fervid' arse,
E
fuor le fiamme vaneggiando sparse,
Tepido
homai pensier canuto accoglia;
Ahi
dal pianto non speri, e da la doglia
Gloria,
né pregi hor de' su' errori ornarse,
Ma
procuri pentita in sé ritrarse,
E
vergognosa a gli occhi altrui si toglia;
Chiuda
pietoso in parte ima, e profonda,
E
fra i secreti suoi silentio amico
L'
alto principio di mie colpe asconda;
I
miei danni presenti, e 'l fallo antico
Oblio
compensi, e la memoria immonda
Spenga
doglioso il cor, se non pudico.
Si è
fermato ormai Ascanio. Ha camminato e tutte, una ad una, ha attraversato le
stanze del castello. I suoi occhi si sono posati sulla spada, sull’ampio
mantello di San Giacomo. Le dita hanno sfiorato la corazza… Tutto un mondo
passato gli si è presentato agli occhi.
Ancora
altri passi: per un attimo ha scorto il suo volto sfuggente a ad uno specchio.
E’ tornato indietro: timoroso nel pensiero, ma ancora dal passo fiero e deciso.
Il soldato per un attimo si è riarmato del suo coraggio. No. Ascanio non
scappa. Ascanio ha il coraggio di guardare il suo volto anziano, i suoi capelli
ingrigiti, il suo volto rigato e solcato da echi di battaglie, di lutti, di
pianti e fellonerie.
Il
passo è adesso lento. Uno sguardo alle montagne, e poi la mano decisa mentre
cerca la carta e lima la penna.
De
la mia calda età l’ardente voglia…
Eccolo.
Sa di essere un uomo maturo e tali sono i
suoi pensieri, canuti. Ma è un illuso. Egli si illude, quasi spera che
il tempo che raffredda tutto, emozioni e ricordi, che tutto intiepidisce, possa
accogliere il desiderio ardente che si impadronì di lui quand’era giovane, quel
desiderio bruciante, fervido come il fuoco che dappertutto spande le sue
fiamme.
Si
illude che tutto sia calmo. Perché Ascanio ha amato, e chi ha molto amato è
condannato ad amare ancora, ad amare il suo amare.
Combattente
ardito, Ascanio non si arrende. Come spada si muove la sua penna: la libra
contro i pensieri della gioventù che sono tornati a fargli guerra in questa
mattinata.
“Ritraiti,
torna indietro desiderio della mia gioventù” va dicendo. Nasconditi e
arrossisci di vergogna davanti a tutti. Non sperare gloria né dal pianto né dal
dolore. Non ambire a vantarti. Torna indietro.
L’amato
Petrarca gli dà man forte: se costui si rendeva conto di essere stato una
favola dappertutto, Ascanio quasi va cercando le parole di Orazio: Heu me, per
urbem…
Per
un attimo pare esserci riuscito. Perché tutto è silenzio adesso. Silenzio
amico, l’unico capace di serrare nel profondo, tra i tanti segreti di una vita,
chi fu causa della sua colpa.
Ascanio
sta fermo. Guarda i fogli ingialliti e senza macchia. Gli parlano dell’oblio,
l’unico capace di riscattare le colpe antiche e le colpe presenti.
Sembra
quasi appagato. Il suo cuore però nasconde ancora brace sotto la cenere del
tempo: se non è pudico, se non è capace di arrossire, almeno conosca il dolore,
e con esso, e con i suoi pianti spenga la memoria immonda.
Si è
rialzato Ascanio. Da vero soldato sa che la lotta non finisce mai. Sa che
l’amore che una volta si impadronì di lui continuamente lo vince, domina e
soggioga. E allora a nulla serve la penna librata come spada. No. Scorra ancora
l’inchiostro per cantare di quell’amore giovane. Riaffiorino pure i ricordi,
mentre dagli armadi cadono i fogli antichi.
C’è
un canzoniere che attende di essere completato!