Ricordando il professore Corcione…
La parola… A volte è sussurrata e subito dopo è
detta e ridetta, financo urlata… Per essa il sentimento prende voce, e l’amore o
l’odio, e le passioni tutte giocano coll’alfabeto del dire … E quando tace
spesso dà voce al linguaggio paludoso dell’ignavia. Quante parole, pensate e
riflesse… o sprecate, perché si vuole parlare ad ogni costo e sempre.
Lui, l’optimus magister, amava indugiare sulle
parole. Non improvvisava. Non parlava subito. Ma rifletteva. La sua era la
fierezza dell’uomo di studio che nasce dalla fedeltà al senso delle parole. E
questa sua fedeltà è stata per chi lo ha conosciuto vera scuola di vita che
diceva della sua ascesi spirituale, di quella sobrietà e finezza che lo hanno
reso maestro di vita.
Quante volte ha rimirato l’Arco di Fellino, e quei
versi scritti dopo il terremoto insieme a don Rocco! Vi ripensava ancora
qualche tempo fa, dopo anni e anni ormai… “Io ci penso tuttora la notte, lo
sa?”…
Le notti del professore Corcione! Notti di un uomo
di studio, di un uomo colto e perciò anche solitario esploratore di orizzonti
non da tutti varcati… Chino sui testi egli ha reso vivida quella lucubratio che
Forcellini (l’amato Forcellini!) aveva descritto… La lunga veglia, alla luce di
una lampada, a cercare il senso di un testo, a renderlo vivo… fino a giungere a
quel momento sublime dell’approbatio: “si, finalmente… si traduce così!”.
Perché tradurre non è mai riportare un verbum ad verbum. Solo il poeta traduce,
solo l’appassionato sa trasmettere le emozioni di un classico.
E solo chi è umile lo sa fare. Perché le sue ore che
sono divenute giorni e mesi e anni di studio gli hanno sempre sussurrato di
tenere i piedi saldi per terra. Non si considerava mai un uomo valente, superiore,
elitario. Quante volte andava da don Rocco, a consigliarsi, con quell’Asino
d’oro tra le mani! Quanta umanità!
Optime magister! Tu anche hai dato lustro a Lauro,
educando tanti giovani, affascinando col tuo dire, nel modo unico e difficile
della sobrietà e della discrezione. Ci hai insegnato un sentiero verso il mondo
lontano ed eterno dei classici. E tu stesso sei divenuto così immagine viva di
una Lauro nobile e bella, semplice ed elegante.
A volte eri pensoso, quasi simile all’antico
Giuliano perché pochi amavano i classici, pochi gustavano la poesia, pochi
vegliavano come un tempo. Ma la stima che oggi tutti ti rendiamo ti rinfrancherà
certamente. Il tuo lavoro e la tua passione ci hanno resi più ricchi di
umanità. Continueremo il compito che ancora ci hai assegnato. Essere uomini
sobri e fedeli, e seri. Dei veri laurinensi.
E grato e
ammirato si alza il saluto, come un’antica consolatoria, ormai tutta nuova per
tuo merito: Vale, et multum gaude. Dii vero tibi fausta concedant, redire domum
amicam in patriam...